sabato 18 dicembre 2010

Lo Cappelluzzo

domenica 17 gennaio 2010

BORSA: CAMFIN potrebbe essere il titolo del 2010

Malacalza, l’alleato genovese di Tronchetti Provera
10 Gennaio 2010



Nonostante faccia impresa da mezzo secolo, fino a pochi mesi fa la sua fama era ristretta al circolo degli industriali dell’acciaio. E a quello degli imprenditori genovesi. Tutto è cambiato lo scorso 12 giugno, quando per 12,2 milioni di euro ha messo le mani sul 3,5 per cento di Camfin, la società che controlla il 25 per cento di Pirelli. Da allora, la stampa finanziaria non perde occasione per parlare di Vittorio Malacalza. Ci si domanda quali altre sorprese tirerà fuori dal cappello il neo-socio di Marco Tronchetti Provera. La curiosità è facilmente spiegata. Malacalza, nato 72 anni fa a Bobbio (Piacenza) ma genovese d’adozione, è alla ricerca di nuovi business su cui investire il miliardo e rotti di liquidità che ha intascato nel 2007, vendendo le sue industrie siderurgiche riunite nella Trametal.

Una parte del bottino potrebbe servirgli per arrotondare la sua partecipazione in Camfin. Malacalza non esclude infatti di aumentare al 10 per cento la quota nella holding che controlla Pirelli, per poi salire anche oltre. Ma su questo capitolo finora non ci sono certezze. Perché l’imprenditore genovese, con la cautela che da sempre lo contraddistingue, vuole prima collaudare la partnership. «Se tutto procederà come dovrebbe, arriveremo fino al 25 per cento. E lì ci fermeremo. Nella holding che controlla Pirelli vogliamo contare, ma non comandare», ha detto nelle ultime settimane alla stampa, facendo capire chiaramente che salire per il gusto di salire non rientra nei suoi progetti.

Poca voglia di apparire, tanta di fare, Malacalza è all’instancabile ricerca di investimenti strategici e industriali. Della finanza, e di tutto quello che gira intorno ai salotti ad essa collegati, si dice invece del tutto disinteressato. Talvolta, questo suo profilo basso e la sua estraneità ai giochi di poteri gli sono costati cari. Soprattutto nelle sfide genovesi.

Al nuovo alleato di Tronchetti Provera non è riuscito per esempio di conquistare la presidenza del Genoa Calcio e nemmeno, in occasione dell’ultimo cambio di guardia, quella della locale Confindustria. Dopo una terribile lotta per la successione, nella quale l’establishment locale aveva toccato punte di litigiosità come mai era successo, alla sua nomina era stata preferita quella del trentaseienne Adriano Calvini, rampollo di una famiglia genovese doc, a capo di un’azienda importatrice di frutta secca.

Con Tronchetti Provera la storia è andata diversamente. Tra i due, presentati da un manager che Malacalza stava selezionando attraverso un cacciatore di teste, il feeling è stato immediato. L’imprenditore genovese dice che per decidere di entrare in affari con il numero uno di Pirelli gli è bastata mezz’ora. Pochi giorni dopo il primo incontro con Tronchetti, i due avevano già firmato l’accordo: «Io credo che la scintilla per gli affari o ti scatta subito, o dopo è inutile». Per Malacalza si apre, dunque, una nuova avventura, dopo che due anni fa aveva trasferito la gestione delle sue aziende di famiglia ai due figli, Mattia e Davide.

Pur arrivando da una famiglia di piccoli imprenditori delle costruzioni, il nuovo azionista della Camfin ha costruito un impero facendo affidamento sulle sue forze. Sono gli anni Cinquanta quando, rimasto orfano del padre, Malacalza abbandona gli studi di ingegneria per prendere le redini dell’azienda paterna, che opera nel commercio di materiali per l’edilizia. La prima grande occasione arriva negli anni Sessanta, quando diventa partner di Autostrade. Ma per il vero salto nel gotha dell’economia italiana bisognerà aspettare metà degli anni ‘80, quando Malacalza rileva una quota di minoranza della Duferco, uno dei leader mondiali del trading di acciaio, entrando in società con Bruno Bolfo.

Nel giro di pochi anni, la sua partecipazione in Duferco sale fino al 50 per cento e ne diventa amministratore delegato. Ma il matrimonio con Bolfo non dura in eterno. La separazione, a metà degli Anni Novanta, lascia nelle mani di Malacalza un patrimonio non indifferente, che gli permette di dar inizio alla costruzione del suo impero siderurgico. Sotto il cappello della Castel, società che riunisce tuttora tutte le attività della famiglia Malacalza, muove i primi passi la Trametal, che da piccola società diventerà negli anni un colosso dell’acciaio.

L’espansione del business procede di pari passo all’acquisizione di un impianto di laminazione in Gran Bretagna. E al successivo ingresso della società nelle attività di trading, settore che porterà Malacalza a stringere una serie di alleanze con i big dell’acciaio, tra cui i cinesi di Baosteel. Ma, da imprenditore accorto qual è, Malacalza non si ferma all’acciaio. Il leit motiv della sua lunga storia di imprenditore è diversificare. Lo fa nell’impiantistica, nell’alimentare, nell’elettromedicale e nella ricerca, riuscendo nel 2000 a rilevare Ansaldo Superconduttori. Poi, due anni fa, l’incontro fortunato con l’oligarca ucraino Rinat Achmetov, a cui vende per oltre un miliardo di euro la Trametal.

Adesso, da secondo potenziale azionista di Camfin, la cassaforte del gruppo Pirelli, i riflettori tornano ad accendersi sul suo gruppo. Tronchetti ha scelto di allearsi con lui non tanto perché porta capitali, ma per l’esperienza accumulata nel business dell’energia e per i rapporti con Russia e Cina, dove Malacalza ha alleati d’acciaio, fondamentali per il nuovo futuro alla Camfin. Le lotte genovesi sembrano sempre più lontane. E forse nel capoluogo ligure qualcuno si starà mangiando le mani.

Signoraggio

Abbiamo definito il Signoraggio come la differenza tra il valore nominale della Moneta ed il suo costo di produzione. Esso è un profitto di cui si appropria chi ha il potere di emettere una data Moneta. Tale profitto esiste per ogni forma di Moneta oggigiorno utilizzata: metallica, cartacea e scritturale.

Il Signoraggio sulla Moneta metallica è solitamente per legge attribuito allo Stato. Quello sulla Moneta cartacea è per legge attribuito alla Banca Centrale (solitamente privata). Quello sulla Moneta scritturale è invece (seppur senza riferimento legislativo) attribuito al sistema bancario nel suo complesso (Banca Centrale compresa, dato che anch'essa può creare denaro dal nulla prestandolo senza l'emissione di banconote). Il Signoraggio sulla Moneta metallica è costituito dal valore facciale (nominale) totale di tutte le monete metalliche coniate da un determinato Stato in una determinata valuta, al netto del costo di produzione delle stesse. Il Signoraggio sulla Moneta cartacea è costituito dal valore facciale totale di tutte le banconote emesse da una Banca Centrale in una determinata valuta, al netto del costo di produzione delle stesse. Il Signoraggio sulla Moneta scritturale è costituito dal valore nominale (facciale in questo caso non è corretto, non essendo questa Moneta fisica) di tutta la Moneta prestata dal sistema bancario (credito) sotto forma di deposito (per lo più conto corrente (c/c)), al netto del costo di produzione della stessa (che è nullo: una semplice digitazione su un computer o scrittura su un foglio di carta di cifre numeriche). Mentre il Signoraggio sulla Moneta fisica (cartacea e metallica) è solitamente ben identificato, quello sulla Moneta scritturale risulta spesso non compreso a causa della non automatica identificazione di quest'ultima come Moneta vera e propria: ciò che non è sensorialmente percepibile è di più difficile comprensione. Tale confusione è accentuata ancor più dall'esistenza della Contabilità e del Bilancio: in quanto costituiti della stessa sostanza (cifre numeriche su pc o su carta), si tende a fare confusione tra la Moneta scritturale (deposito) ed una generica computazione di cifre monetarie (Contabilità e Bilancio). La prima è Moneta, la seconda un semplice conteggio della stessa Moneta. Il conto corrente, in altre parole, non è Contabilità, come viene solitamente definito, bensì vera e propria Moneta non fisica. Che gode del suo Signoraggio, come ogni Moneta il cui valore nominale è superiore a quello intrinseco (nullo in questo caso).

Nota: il Signoraggio qui discusso è in altre parole parte del Capitale prestato dal sistema bancario (o addirittura il Capitale stesso nel caso della Moneta scritturale, non avendo essa alcun costo di produzione). Tale profitto si aggiunge a quello derivante dagli Interessi sullo stesso Capitale prestato.

domenica 10 gennaio 2010

ARTICOLO INTERESSANTE ...da Il Foglio

Elogio ragionato della ricchezza e dello spreco (di michette)

L’ultima è quella del pane. Se raccogliessimo ogni briciola e ogni avanzo, farebbero 244 mila tonnellate di cibo all’anno, pari a un miliardo di euro, abbastanza per 636.600 persone, col corollario immancabile e politicamente corretto di 291.393 tonnellate di anidride carbonica in meno. Com’è possibile? Semplice: possiamo permettercelo. Lo spreco non è uno scandalo, è la condizione dell’esistenza. Lo spreco è un giudizio soggettivo: esiste perché, nella nostra percezione, i beni scartati valgono meno dello sforzo che dovremmo fare per salvarli. Lo spreco esiste in qualunque economia non di sussistenza, e probabilmente anche lì. Ora, sarà vero che è possibile – a costo zero, o addirittura guadagnandoci – ridurre gli avanzi. In fondo, trovare un equilibrio è lo sforzo quotidiano di milioni di aziende, e di famiglie, che cercano di centellinare i quattrini. Il problema è pretendere di misurare lo spessore etico della gente con le baguette ammuffite, e trasformare uno sforzo individuale in un obbligo collettivo.

E poi non solo pane spreca l’uomo. Anche l’energia, che se solo spegnessimo il fottutissimo led rosso della tivù, bye bye Arabia Saudita. Per non dire dell’acqua, che se tenessimo le mutande del giorno prima ci disseteremmo eserciti di poveracci. E via via. Gran parte dell’isteria antispreco poggia su un pregiudizio: poiché con gli scarti di uno si potrebbe nutrire l’altro, tra le due cose si istituisce un nesso causale. Se Tizio non sprecasse, Caio starebbe benone. Se gli italiani abolissero il bidet, l’acqua zampillerebbe nel deserto. In verità, se mangiassimo tutto saremmo solo un po’ più obesi. Non c’è alcuna relazione, in generale, tra l’opulenza di questo e la miseria di quello. Anzi: è più spesso vero il contrario. Il povero sarebbe ancora più povero, se il ricco fosse meno ricco, perché questi consumerebbe meno. Lo ha detto incredibilmente bene nei giorni scorsi Victoria Beckham che, accusata di aver ecceduto nei regali, ha risposto: “La sobrietà non aiuta l’economia, la uccide”.

C’è semmai un legame, strettissimo, tra spreco e ricchezza (sociale così come individuale): non è che siamo ricchi perché sprechiamo (e per lo stesso motivo altri sono poveri), è che sprechiamo perché siamo ricchi. E se anche astrattamente fosse vero che l’uomo frugale sarebbe migliore di quello dalle mani bucate, il mondo vero è popolato dalla seconda categoria di individui. I primi vivevano nelle caverne. Pensarla altrimenti significa credere che esista uno stock finito di beni e servizi e dunque una fetta più grande va sempre assieme a un’altra fetta più piccola. Per dare l’acqua agli assetati c’è una sola scelta: farli diventare capitalisti e dotarli delle tecnologie necessarie a fare pozzi più profondi o desalinizzare l’acqua del mare, e stendere le condutture da dove l’acqua c’è a dove serve.

L’economia di mercato, occorre ricordarlo, è una prodigiosa macchina per creare e distribuire benessere e ricchezza: e in questo senso causa sprechi. Cioè: ci mette nella condizione di vivere di più e meglio, consumando più cose e migliori. Oltre tutto, le politiche antispreco costano più di quel che rendono (tant’è che sono agghindate da richieste di sussidi). Il confine tra le buone intenzioni e gli interessi più prosaici è davvero labile. Del resto, solitamente chi non spreca non ha nulla da sprecare.
Beato il mondo che non ha bisogno di risparmiare.

Lettori del Foglio, che ne pensate? Dite la vostra su Hyde Park Corner

di Carlo Stagnaro

martedì 5 gennaio 2010

QUESTA NOTIZIA MI HA COLPITO AL "CUORE"...questo non è il Paese che ho lasciato un po' di tempo fa!


Chiusano, si indaga su attentato a sindaco

(5 gennaio 2010) I carabinieri indagano sull'atto intimidatorio contro il sindaco di Chiusano San Domenico, Antonio Reppucci. Colpi di fucile calibro dodici, caricato a pallettoni, sono stati esplosi in piena notte contro il garage del primo cittadino, in via Acqualemme alla periferia del paese: i proiettili si sono conficcati nell'auto, un'Audi, parcheggiata all'interno. Sulla misteriosa intimidazione indagano i carabinieri guidati dal comandante provinciale, il colonnello Gianmarco Sottili.

"Ho paura, è un episodio che mi ha scosso - ha detto il sindaco di Chiusano, di professione avvocato - ma credo che si tratti di un'azione mirata. Evidentemente, c'è qualcuno che vuole mettere le mani sugli appalti pubblici". Il comune dovrà indire a breve una gara d'appalto per circa 4 milioni di euro per la sostituzione dei prefabbricati pesanti del dopoterremoto. Ma i carabinieri seguono anche altre piste.

lunedì 4 gennaio 2010

Per chi sostiene che Al Qaeda non esiste

dal sito http://deus-le-volt.splinder.com/post/4310049/Lettera+aperta+alla+Signora+Sg
Lettera aperta alla Signora Sgrena

Gentile Signora Sgrena,
sono certo che gli Italiani La stanno sommergendo di messaggi di affetto e congratulazioni (non si monti però troppo la testa, sono in fondo gli stessi Italiani che hanno decretato il successo straordinario di programmi come il Grande Fratello) e sono quindi consapevole delle scarse probabilità che Lei possa o voglia a leggere questo fino in fondo.

In considerazione di ciò, vorrei chiarire
immediatamente la mia posizione: spero che la sorte Le riservi una lunga
vita, e mi auguro che ogni giorno di questa lunga vita sia segnato dal rimorso per aver
provocato, con il proprio assolutismo ideologico ed una dose di ingenuitàche un osservatore grossolano sarebbe tentato didefinire stupidità tout court, la morte di una persona degna e dignitosa.

Se qualcuno, uscendo per esempio dal coma e quindi non sapendo nulla dell'accaduto, mi chiedesse di riassumere quanto successo, credo risponderei così

- una giornalista italiana, schierata contro una guerra che vede l'imperialismo americano schiacciare una mite, pacifica ed evoluta popolazione mediorientale, si adopera sul campo perché il mondo sappia degli orrori provocati dalle bombe democratiche;

- incredibilmente, i miti, pacifici ed evoluti mediorientali, invece che apprezzare gli sforzi della giornalista, la rapiscono chiedendo ovviamente un cospicuo riscatto;

- tale riscatto viene pagato, attingendo al denaro pubblico, dal governo contro il quale la giornalista militante è ideologicamente schierata, in considerazione anche di un video strappalacrime nel quale la stessa implorava aiuto al
più presto;

- al momento della liberazione, per cause non ancora chiarite ma probabilmente ascrivibili ad una mancata
coordinazione con altre forze in campo, l ' auto della giornalista veniva colpita da fuoco amico, fuoco che uccideva il funzionario dei servizi d ' informazione che aveva pilotato la liberazione della coraggiosa giornalista;

- tra le prime dichiarazioni dell'eroica sopravvissuta dopo la liberazione, spiccano un ' ipotesi di complotto
americano che mirava ad eliminarla (non credo possa sfuggire l 'evidente importanza strategica che la sopravvivenza o meno dell'inviato del Manifesto rivesta agli occhi del Pentagono) ed un apprezzamento del modo in cui era stata trattata dai rapitori (poco in sintonia col video sopra citato), appoggiato dalle considerazioni del padre che affermava di non riuscire a condannare comunque i rapitori della figlia.

Cara Signora Sgrena,
quale contribuente che ha conseguentemente partecipato al pagamento del riscatto per la Sua liberazione, sono pienamente autorizzato a significarle la mia costernazione per la morte di Nicola Calipari, morte che avrebbe potuto essere evitata se lei avesse avuto l ' intelligenza di vedere le cose per una volta non distorte dalla Sua ideologia (ma in fondo, se Lei questa intelligenza l'avesse, tale ideologia forse non l ' avrebbe mai abbracciata) o se avesse avuto la dignità di affrontare fino in fondo le conseguenze delle Sue sciagurate scelte senza invocare l ' aiuto di coloro, Nicola Calipari -odioso agente dei famigerati Servizi in testa, che rappresentano per Lei il Nemico.

Col Suo comportamento, prima, durante e dopo il rapimento, Lei ha saputo passare da una posizione discutibile ad una disgustosa, rendendo ancora più inutile, e quindi tragico, il sacrificio di Nicola Calipari.

Chiudo con una considerazione ed un augurio.

La considerazione : vorrei ricordarLe che è ancora vigente in Italia una legge che, in caso di rapimento di comuni mortali (tra i quali non si può forse annoverare un personaggio del Suo spessore) impedisce in ogni modo il pagamento del riscatto, giungendo fino al blocco dei beni della famiglia della vittima: è un vero peccato che tale legge non sia sta invocata nei Suoi confronti, o che Lei non sia, per esempio, cittadina britannica (lo ricorda anche Lei il video di quel signore che implorava Blair di salvarlo, vero ?).

L' augurio è che d ' ora in avanti, ogni qual volta un ' auto bomba ucciderà qualche dozzina di soldati americani o
italiani (cosa per Lei poco rilevante , ma non per me) e di civili iracheni, Lei possa domandarsi se tale ordigno sia stato acquistato con i soldi del Suo riscatto, e si renda conto che se Nicola Calipari è stato il primo a morire inutilmente per causa Sua, non sarà però l' ultimo.

Signora Sgrena, se Lei mi conoscesse rimarrebbe sorpresa dal fatto che queste righe siano assolutamente prive degli insulti ed irriverenze che vivacizzano quello che di tanto in tanto scrivo agli amici:
La prego di interpretarlo come il segno dell' assoluto e perfetto disprezzo che nutro nei Suoi confronti, nei confronti del Suo intelligente compagno e di tutti quelli che, peraltro non sorprendentemente, hanno indegnamente cercato di approfittare di una tragedia di cui Lei è stata non vittima ma colpevole causa.

Dovunque si è letto o sentito che la gioia per la Sua liberazione è stata offuscata dalla morte di Nicola Calipari : per
me, invece, il dolore per la morte di Calipari è stato esacerbato dalla Sua liberazione.