domenica 18 novembre 2007

BANCARIO RIDOTTO A PROSTITUTA ALBANESE

dal sito MERCATO LIBERO...dell'amico
C’era una volta il direttore di banca. Quando un artigiano, commerciante o impresa chiedeva un fido, lui andava a vedere di persona le gru, i capannoni, i magazzini del potenziale debitore. Era un personaggio ben inserito nella realtà economica locale. I profitti della banca venivano in parte notevole da questa attività. Oggi non più. Come spiega un doloroso articolo su Libero Mercato, il bancario deve «vendere» a qualunque malcapitato entri in banca assicurazioni, «prodotti finanziari» che puzzano, «derivati» e «strutturati» col trucco, e di cui il cliente non ha bisogno.Vuoi il fido? Allora beccati anche questo swap dollaro-yen, o questa quota di hege fund con portafoglio colmo di azioni di Pechino. Non ti occorre? Ma la banca, per darti il fido, ti chiede di «contribuire ai profitti dell’istituto, che oggi si fanno così».
Altrimenti niente credito. I risultati sono quelli raccontati spesso dalla Gabanelli e da Libero stesso: negozi ben avviati portati al fallimento dalla leva negativa di quegli «strutturati», su cui bisogna pagare margini che superano i fatturati; prestiti-ponte per pagare quei debiti improvvisi; colossali indebitamenti occulti di Comuni Province e Regioni. Non è colpa dei bancari. E’ che il loro status è stato cambiato: parte del loro stipendio oggi dipende dai «risultati», ossia da quali schifezze e truffe hanno rifilati ai clienti. Ridotti a promotori finanziari senza preparazione specifica, assillati «dagli uffici-marketing che dettano quale cliente chiamare, a quale ora e per quale prodotto» e dalla telefonata del capo-area che vuole «risultati», altrimenti niente «incentivi» e premio annuale.

La condizione dei bancari è quella delle prostitute albanesi nelle grinfie del racket, e come tali devono comportarsi.

E i vecchi direttori hanno perso la «delega»: non sono più loro a dire se quell’artigiano o impresa meritano di essere affidati, ma «processi automatizzati», decisi da lontani computer con software irreali, «made in USA». «Processi di vendita massificati», dice Libero, «non serve pensare: tutto è pianificato» dagli arroganti neo-banchieri che imitano Wall Street.
Dice Libero: tra i risultati, c’è che crescono le perdite delle grandi banche «sui crediti di piccola dimensione». E che i clienti, non trovando più il direttore che li conosceva da anni, ripiegano sulle piccole banche locali, che «tengono e crescono» nonostante l’arretratezza tecnologica, e che erano state date per spacciate «perché non hanno le dimensioni».
Ma non è questo il punto. La vera tragedia è che la banca, prima, era almeno una ausiliaria dell’economia reale, dell’industria e del commercio.
Oggi ne è il parassita distruttore. Gli avvoltoi, almeno, mangiano cadaveri già putrefatti. Le «nuove» banche divorano imprese vive e vegete, rifilando loro prodotti fallimentari, «strutturati» incomprensibili che aggraveranno i conti fino alla bancarotta. Libero Mercato, se n’è accorto e denuncia.
Ma anche Mario Draghi è consapevole di questa situazione. Ha parlato più volte del dissesto dell’industria del risparmio gestito italiano inefficiente, cara e capace solo di succhiare il sangue agli investitori.
Per ora ha vinto il cambiamento di «cultura», come si dice: dal credito come ausiliario al credito-marketing predatorio.
Tornando alla storiella del castello del mio precedente articolo è come se un castello era stato costruito da un Re saggio e buone alcuni anni fa sulle rive di un fiume bellissimo. Vicino al castello era sorta una grande città che si sentiva protetta dalla presenza del castello. La città cresceva prosperosa, le campagne erano adibite all’agricoltura e all’allevamento, le foreste erano popolate da animali che venivano cacciati, il fiume veniva utilizzato per l’approvigionamento idrico e per il commercio. La natura e la serenità delle famiglie rendeva la vallata unica nel suo genere.
Tutti volevano stare vicino al castello, si sentivano aiutati e protetti, in cambio pagavano delle tasse ragionevoli e tutti prosperavano.
Improvvisamente il re del castello muore e suo figlio, noto per la sua arroganza e avidità, ne prende il posto. Aumenta le tasse, brucia il raccolto dei campi di coloro che non pagano le tasse, si appropria del bestiame dei morosi e lo vende alle vallate confinanti. il paese si impoverisce sempre di più. Da una bella città si trasforma lentamente in una favelas triste e povera.
Il castello diventa sempre più bello e opulento, ma un giorno si accorge che non può più spremere i sudditi, non è rimasto nulla da spremere, la pianura fertile si è trasformata in un arido deserto, la foresta bruciata, e il fiume inquinato. Il re ha due alternative…sposta il castello in un’altra valle e continua a depredare, o si impoverisce anche lui e il castello in poco tempo diverrà un rudere. Ma la folla dei sudditi, intanto, ha aperto gli occhi, capisce che esiste un’alternativa, confabula, si organizza, si arma…una rivolta è vicina

Jack Free (Libero) Maurizio Blondet, Mercato Libero.

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